Questione di grandezza

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Numero 37_Ita/2022

Daria Karapetkova

Pavel Koychev, „A pascolo nel lago“

La globalizzazione ha determinato nella lingua e nella letteratura una serie di processi che gli osservatori accolgono con sentimenti contrastanti. Ha acuito prima di tutto la percezione di quanto sia importante la grandezza. Parliamo di grandezza quando utilizziamo la suddivisione, da molti rinnegata, tra lingue maggiori e minori, letterature maggiori e minori. Oltretutto, anche se decidessimo di accettarle come adeguate, queste suddivisioni non sono una costante e hanno i loro periodi di declino e ascesa. In primo luogo però hanno anche un altro problema, più sostanziale – i criteri di definizione, nel caso in cui volessimo sottrarci al banale indice quantitativo e statistico. Perché se lo facessimo, stabiliremmo innanzitutto la prima circostanza positiva per questo paragrafo del presente articolo, e cioè che, aggiungendo altri criteri oltre a quelli quantitativi, forse ogni lingua e ogni letteratura avrebbe la possibilità di battersi per un titolo di eccellenza.

Il nuovo numero del Literaturen vestnik celebra la Settimana della lingua italiana nel mondo. L’edizione di quest’anno è dedicata alla lingua dei giovani, in linea con la decisione della Commissione europea di dichiarare il 2022 come Anno europeo dei giovani. La settimana è trascorsa all’insegna del titolo Come scusa? Non ti followo – un’espressione formulata attraverso l’eccentrica mescolanza di un verbo inglese e la desinenza italiana della prima persona singolare del presente indicativo. Proprio l’ibridità del linguaggio giovanile, nata dal caratteristico flirt dei giovani con il cosmopolitismo, è alla base della provocazione in questione e non fa che confermare l’evidenza che all’interno del villaggio globale non è più un problema andare oltre il proprio orticello e prendere ciò di cui abbiamo bisogno. Se i presupposti sono questi, può esserci un futuro per valori quali la purezza, l’autenticità? Possono ancora considerarsi valori, questi? Ricorderanno un giorno le nostre società che l’interiezione wow e l’espressione mettiti nelle mie scarpe sono in realtà innesti esterni? E, d’altra parte, non sarà proprio questa tendenza babilonese a infondere nuova linfa nel modo di parlare della prossima generazione di giovani, affaticato dal peso del patrimonio linguistico? Queste domande si ripropongono ciclicamente, ma oggi sono interessanti in modo nuovo proprio perché nuove sono le condizioni in cui comunichiamo. Le interviste con le lettrici di lingua bulgara a Napoli, Venezia, Milano e Bologna dipingono un quadro dello scambio bilaterale italo-bulgaro sia in termini di insegnamento che di politiche di avvicinamento alla lingua.

Ma c’è un altro affascinante e indiscutibile criterio per la grandezza di una lingua. Se un autore, uno scrittore appartenente a un’altra comunità linguistica fa la scelta creativa e impegnata di renderla il codice della propria espressione, allora stiamo assistendo a una singolare forma di riconoscimento, a una dichiarazione d’amore incondizionato. Per quanto riguarda la lingua italiana questo è successo già molte volte. In tempi più recenti l’impulso è stato dato negli anni ‘90 dai flussi migratori, quando chi scriveva distribuiva i propri testi attraverso venditori ambulanti o centri di volontariato. I temi sono pesanti perché riflettono le autentiche e drammatiche storie degli autori. A volte il libro nasce in collaborazione con un coautore di lingua italiana (è il caso del romanzo edito anche in Bulgaria Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda, in cui parla l’afghano Enaiatollah Akbari). A poco a poco il quadro cambia e prende il sopravvento la fetta di scrittori provenienti da matrimoni misti o cresciuti come immigrati in Italia. E in effetti una delle definizioni di questo fenomeno è “letteratura migrante” (ne fanno parte anche autrici come la italo-indiana Gabriella Kuruvilla o l’albanese Ornela Vorpsi, presentate pure in Bulgaria nell’antologia Racconti italiani contemporanei). Ad oggi l’elenco dei nomi è rispettabilmente lungo e straordinariamente integrato nel tessuto principale della comunità letteraria italiana: l’algerino Amara Lakhous, la somala Igiaba Scego, il celebre turco Ferzan Ozpetek… Per Jana Karšaiová, nata a Bratislava, la lingua italiana non è solo una

scelta creativa, ma anche politica e sociale. Quest’anno è stata in lizza per il premio Strega con il suo romanzo d’esordio scritto in italiano, Divorzio di velluto. Che dire di Jhumpa Lahiri – forse l’esempio più notevole di autrice che non solo attinge, ma dal 2019 anche contribuisce con la propria autorità a rafforzare l’aura dell’italiano come una sorta di lingua franca creativa.

In ottobre la casa editrice romana Voland, che associamo alla presenza in Italia di Georgi Gospodinov, ha pubblicato la prima raccolta di racconti della bulgara Stiliana Milkova. Ben conosciuta dai lettori di Literaturen vestnik, la prof.ssa Milkova insegna letteratura comparata all’Oberlin College, negli Stati Uniti, è specializzata in letteratura italiana e russa ed è traduttrice e autrice di una monografia dedicata a Elena Ferrante. Con la raccolta Storia delle prime volte, di cui leggerete estratti in anteprima in questo numero del giornale, s’inserisce nella valente compagnia di autori che apportano al linguaggio di una fulgida cultura nuove sfumature, fresche energie creative, punti di vista esterni.

Come dicevamo, un’indiscutibile dimostrazione di grandezza. Un indiscutibile motivo per una lingua di celebrare sé stessa.

 

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