Conversazione con Laska Laskova (Forlì – Sofia)
Come mai ha deciso di candidarsi al bando per diventare lettrice di lingua bulgara in Italia?
Mi sono imbattuta nel bando per caso, in un momento in cui la routine iniziava a diventare pesante per me. Penso che fosse stato ripubblicato per la terza volta. Probabilmente perché “Forlì, Italia” non suona come “Roma, Italia” e infatti a tutt’oggi questa località non riesce a suscitare l’interesse di potenziali lettori di scambio bulgari. Ho fatto delle ricerche ed è venuto fuori che una delle prime università nella classifica mondiale, l’Ateneo bolognese, è distribuito nei dintorni di Bologna – Rimini, Cesena, Forlì… Quest’ultima città ospitava diversi dipartimenti riconosciuti per la loro eccellenza e veniva perfino definita „punta di diamante“. Non avevo bisogno di sapere altro.
Come ha imparato l’italiano? Legge in lingua italiana? Quali scrittori italiani contemporanei Le piacciono?
L’ho imparato (parola grossa, lo sto ancora imparando) in Italia. Spesso mi piace scherzare sul fatto che, nel bene e nel male, il mio italiano è l’italiano dei miei studenti. Da quando sono in Bulgaria leggo, ma preferisco ascoltare, audiolibri compresi. Agli occhi il lavoro e alle orecchie il piacere, questa è la ripartizione. Mentre mi muovo per Sofia sono sempre sintonizzata sul Ruggito del coniglio, un popolare programma radiofonico mattutino amato da molti italiani. Non solo mi fa sempre sorridere, ma mi tiene anche aggiornata sugli argomenti e umori attuali nel paese. L’Italia mi manca ed è così che cerco di compensare. Quanto agli scrittori italiani contemporanei – sono una schiera infinita. Spesso mi è capitato di comprare libri per via di recensioni estremamente positive e ne sono rimasta delusa. Ma questo mi succede anche con libri scritti in altre lingue. Se però devo fare un nome, Elena Ferrante – tra le prime, e forse la penna italiana di cui ho letto più libri.
Ha lavorato con l’italiano da quando è tornata in Bulgaria?
Leggo pubblicazioni di linguistica. Ad esempio, ultimamente ho avuto a che fare con lo strano fenomeno del pronome dimostrativo articolato in bulgaro, che si è rivelato non così inusuale in italiano. Quindi sì, su qualunque cosa io stia lavorando, voglio sempre vedere cos’ha da mostrare questa lingua romanza e cos’hanno da dire a riguardo i linguisti italiani, tra i quali ci sono menti davvero brillanti.
Quali sono le sfide più grandi che ha affrontato in qualità di lettrice?
A Forlì il lettore lavora all’insegna del motto “ognuno si salva da solo” – senza una cattedra di bulgaristica né tantomeno slavistica, e le lezioni si tengono per due dipartimenti (interpretazione e traduzione e scienze politiche). Il bulgaro è facoltativo e compete con altre cinque lingue. Un’altra difficoltà sono state le numerose e variegate iniziative aggiuntive che andavano inserite in un anno accademico piuttosto breve: la supervisione delle tesi, le traduzioni per il Festival del cinema bulgaro di Roma, i convegni, i concorsi, le rappresentazioni teatrali degli studenti. Ma ogni volta, senza eccezioni, che ho avuto bisogno di assistenza, l’ho ricevuta – e non parlo di un aiuto superficiale, ma di una collaborazione attiva, stretta, addirittura durante il tempo libero personale. Sono sinceramente grata per ciò alla mia collega russista prof.ssa Svetlana Slavkova e al direttore del Dipartimento di traduzione, prof. Rafael Lozano Miralles.
Cosa ha cercato di insegnare ai Suoi studenti?
A parte il bulgaro, non ho dovuto insegnare loro nient’altro. Probabilmente perché il livello di ingresso in entrambe le facoltà è molto alto, gli studenti che entrano sono persone con obiettivi chiari, competenze sviluppate e voglia di lavorare. È stato un piacere osservare le loro analisi comparative spontanee e la velocità con cui si orientavano nella grammatica del bulgaro – terza lingua, per alcuni addirittura quarta. C’era anche la naturale curiosità verso una cultura sconosciuta. In breve, non ho avuto bisogno di stimolare il loro interesse, “educarli” al pensiero critico o convincerli che dovevano studiare. Ho dato ai miei studenti la libertà di lavorare su progetti propri: traduzioni e ricerche su argomenti che li interessavano. Così hanno smesso di pensare alla quantità di tempo investito, ai voti – apprezzavano il loro lavoro e ne erano orgogliosi.
Ha studenti che sono stati tentati di dedicarsi alla bulgaristica?
A Forlì il bulgaro s’insegna a traduttori e politologi, non a filologi. Ma quando due anni fa la Bulgaria non è riuscita a mandare un lettore, due dei miei migliori studenti, Matteo Cima e Lorenzo Testini, hanno partecipato al bando, lo hanno vinto e si sono occupati dell’insegnamento. Giorgia Spadoni, che (come Lorenzo) ha ottenuto il master dell’Università di Sofia in traduzione e redazione, e Giada Fratini al momento traducono attivamente dal bulgaro. Purtroppo è difficile guadagnarsi il pane con la bulgaristica. Spesso dopo il pensionamento del decano di lunga data non c’è nessuno a prendere il testimone, perché pur avendo i propri studenti questi non possono aspettare il bando in eterno. Non c’è certezza, non c’è continuità. Questo può cambiare solo a seguito di una serie di politiche governative a lungo termine, anche di tipo finanziario.
Come viene percepita la cultura bulgara in Italia? C’è qualcosa che sorprende gli italiani?
Non posso fare generalizzazioni. Nei media la Bulgaria ha un’immagine piuttosto negativa, e l’italiano medio associa il nostro paese più che altro al nome di un atleta o di un attore, qua e là hanno sentito parlare della rosa bulgara da cui si estrae il rispettivo olio. Georgi Gospodinov è sicuramente conosciuto, apprezzato, letto; ho visto il pubblico piangere durante la lettura in occasione dell’incontro con Aksinya Mihaylova, al termine della proiezione di un film bulgaro. Ma impressionare una nazione dove una vita culturale attiva è la norma e che ha accesso semplice e veloce ai successi stranieri non è facile. Un aneddoto. Prima uscita nel centro di Sofia insieme a studenti italiani in Erasmus. Avevamo bevuto del vino (non Mavrud) e stavamo tornando a casa. Per salutarli ho chiesto loro come si sentivano e mi hanno risposto: “Beh, è tutto normale, ma come si cammina su marciapiedi del genere con questo buio?”. Per tutta la sera non avevano smesso di inciampare sulle mattonelle rotte sotto la scarna illuminazione pubblica. In Bulgaria gli italiani hanno fame di estetica. E della tranquillità di non tenere gli occhi puntati sui piedi per poter alzare lo sguardo verso altre cose.
La letteratura bulgara è esportabile?
Sì. In che quantitativo è però un’altra questione.
Si è mai sentita dimenticata dalle istituzioni bulgare?
Sì e no. Per molto tempo sia le università di provenienza che lo Stato hanno considerato i lettori di scambio come un investimento sospettoso. Vedo segnali positivi giusto in questi ultimi anni. Cambiamenti che parlano di maggiore accessibilità, di maggiore cura. Ma mentre facevo io la lettrice, il sostegno delle istituzioni era soggetto alla decisione di una determinata persona che ricopriva la relativa posizione in un dato momento. Il sostegno però deve esprimersi in pratiche e politiche che non dipendono da scelte personali.
Quali politiche dovrebbe intraprendere lo Stato bulgaro per stimolare lo studio del bulgaro nel mondo?
Quest’anno ho partecipato a diversi incontri sull’argomento organizzati per iniziativa statale. È già in corso un programma scientifico nazionale per lo sviluppo e l’omologazione della bulgaristica, che dispone di un piano d’azione sviluppato nei dettagli. In esso vedo gran parte delle strategie che per anni, se non decenni, diverse generazioni di bulgari hanno insistito affinché entrassero a far parte della politica statale. Il momento è particolarmente adatto al lavoro attivo, specie considerando che per ragioni politiche la russistica, finora dominante, sta cedendo il passo e lasciando il posto ad altre lingue e culture slave.
È difficile essere bulgari in Italia? Esiste ancora qualche stereotipo che non è stato superato?
Per molti italiani è difficile stare in Italia a causa di pregiudizi, burocrazia, ragioni economiche, eccetera. Non può essere facile per un immigrato, e sì, non siamo tra le nazioni che godono di stereotipi positivi come gli inglesi e gli americani, ad esempio. La cosa positiva è che, almeno secondo le mie osservazioni, i giovani non sono gravati da preconcetti negativi nei confronti dei bulgari.
Come valuta l’idea di creare un Istituto nazionale bulgaro di cultura?
È una cosa che va assolutamente fatta. Sempre che non diventi uno strumento per l’accumulazione di poteri, e conseguentemente di qualsiasi altro capitale da parte di alcuni individui e gruppi. In quel caso non sarebbe nazionale.
Intervista di Amelia Licheva