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Numero 37_Ita/2022

Stiliana Milkova

Stiliana Milkova. Foto Jennifer Manna

 IL LIBRO: Storia delle prime volte, ed. Voland, Roma, ottobre 2022. Una giovane dottoranda si è appena trasferita in Telegraph Avenue, a Berkeley; una traduttrice sta per incontrare il suo autore sul Lungopò di Torino; una ricercatrice attende il fidanzato in Liguria; un professore è alle prese con l’ultimo capitolo del proprio saggio mentre il treno lo porta a Roma; una docente scrive lettere bevendo un Negroni. E ancora altri dottorandi, docenti, scrittori si muovono per le strade di Burgas, le calli di Venezia, tra osterie, treni, bar, alberghi. C’è chi viaggia e chi si ferma a osservare; chi legge, chi scrive, chi traduce… è forse la stessa persona? Le piccole esistenze comunque si compongono e si riflettono l’una nell’altra: sono strumenti di un gioco letterario in cui realtà e finzione si mistificano e si confondono.

L’AUTRICE: Stiliana Milkova è nata in Bulgaria. Professoressa associata di Letteratura comparata all’Oberlin College (USA) e traduttrice, ha scritto questo suo primo libro di narrativa in italiano. Le sue pubblicazioni accademiche includono articoli sulla letteratura italiana, russa e bulgara e la monografia Elena Ferrante as World Literature.

 

Un rettangolo nero

27 aprile 2020

L’ultima volta che l’ho visto non sapevo sarebbe stata l’ultima.

Era incorniciato dallo schermo. Il collegamento internet guizzava – sfiatato, estenuato, esausto.

Un rettangolo nero invadeva lo sguardo e gli occhi cadevano nel vuoto, cercando di scorgere il quadro che mia madre dipingeva con le parole: il nonno sdraiato sul letto, immobilizzato dall’agonia e dalla paura, la sua voce – il basso da cantante d’opera – inudibile. Il cuore guizzava, il corpo si era arreso. Ho immaginato mia madre e mia nonna sedute accanto a lui, due sentinelle pronte a proteggerlo.

Poi all’improvviso lo schermo, il fiato irregolare della connessione, si è spento. La mattina dopo ho saputo che prima di morire mio nonno si era messo a cantare.

 

La lucina

Sopra i tetti di Torino, tra i seni trasparenti della nebbia, vola una lucina. Quella lucina sono io. Sono una pallina incandescente nell’aria notturna. Vibro, fluttuo, mi abbandono al vento, ballo abbracciata a lui. La mia intensità cambia, vacilla, ma non mi spengo. La mia è una fiamma costante. Si nutre della luce invisibile che riempie i corpi umani – la chiamano amore, speranza, bontà, coraggio, determinazione, ispirazione, generosità – e poi trabocca e si diffonde nell’universo. La colgo io e la riporto a loro, più intensa, più forte. Gradisci un volo? Allora taci e non ti spaventare.

Sbirciamo in quella finestra là. Una donna e una bambina sedute al tavolo. Un bicchiere di vino, una tazza di latte. La donna, lei è la madre, sta parlando. La figlia sembra assorta nel discorso, sta ascoltando con la bocca socchiusa. È tardi, quasi l’ora di andare a letto, ma loro non hanno voglia di dormire. La madre si alza ed esce dalla stanza. La figlia guarda il cielo dalla finestra. Si avvicinano nuvole gravide di pioggia. La madre rientra con un libro in mano. Si siede di nuovo al tavolo, prende distrattamente il bicchiere di vino, ne beve un sorso. Poi sfoglia il libro. Cerca qualcosa. Lo trova, inizia a leggere. La figlia si avvicina a lei e l’abbraccia. Rimangono così per qualche minuto, poi la madre si asciuga le lacrime, la bambina sorride e guarda di nuovo dalla finestra: le nuvole sono svanite, c’è solo una luna piena e infuocata.

Vieni, vieni, fai presto. Vedi quella minuscola figura laggiù? È un ragazzo. Lo seguo da giorni, da quando è mancato suo nonno. Il ragazzo si aggira per il cortile, ma ha freddo, gli tremano le labbra. Ha dimenticato il giubbotto a casa, ma non c’è tempo per tornare a prenderlo. Ha perso un giocattolo e lo cerca tra i cespugli, guarda nei balconi più bassi, gira la testa in tutte le direzioni. Ha perso l’aeroplano di carta che gli ha fatto il nonno prima di morire. È l’unico ricordo materiale che il ragazzo possiede, e per questo adesso continua ad aggirarsi per il cortile, sempre più agitato e intirizzito. Una piccola fiamma illumina il pavimento intorno a lui. La luce lo scalda e lui, incoraggiato, rinnova la ricerca. Il cuore gli batte forte perché immagina di avvertire la mano del nonno che guida la sua.

Una donna e un uomo camminano lungo il Po. Discutono. Lei si ferma, gli dice qualcosa e poi si volta. Ma lui l’afferra per il braccio e la trascina verso di sé. Sono marito e moglie, hanno un figlio piccolo, sono una famiglia agiata. La moglie l’ha lasciato di recente. Non può più sopportare le grida, gli schiaffi, la violenza. Ha preso il figlio ed è andata da sua madre a Torino. Adesso lui vuole convincerla a tornare a casa. Lei non cambierà idea, è risoluta. Sa che il bene del figlio richiede il coraggio e la determinazione che le sono sempre mancate. Ma stavolta lei non si arrenderà. L’immagine del piccolo che dorme sereno e felice le dà la forza di liberarsi dal marito. Gli dice “Basta” e se ne va. La accompagniamo fino a casa, illuminandole la strada?

In un palazzo nel quartiere di San Salvario si vede la lampada accesa in una piccola stanza all’ultimo piano. La finestra è aperta nonostante il freddo. Dentro un uomo è chinato sopra un disegno di grandi dimensioni, intorno a lui sulla scrivania sono sparpagliati penne, matite e pennelli, carte e fogli. È un architetto geniale che si rifiuta di usare il computer. Lavora a mano, misura, fa calcoli, disegna, colora. Starà in piedi tutta la notte: tra pochi giorni dovrà consegnare la tesi di laurea magistrale, ma è già in ritardo. A volte gli si chiudono gli occhi, la testa cade sulla spalla, si addormenta per un attimo, ma l’aria gelida che invade la stanza gli fa da sveglia. E la passione per l’architettura lo aiuta a non abbandonare la sua tesi folle: la progettazione di un museo della luce.

Seguiamo quell’uomo che sta attraversando il ponte Rossini? Lo vedo vagare per la città da ore, sempre solo. Si sposta da un locale all’altro, beve un vino bianco qui, un whisky lì, chiacchiera con i camerieri, con gli avventori, lo conoscono tutti, gli vogliono bene. È uno scrittore che adesso torna a casa per buttare giù quello che gli è venuto in mente mentre faceva il giro dei bar. A casa si verserà un altro bicchiere di vino o di whisky, si siederà sul divano, e si immergerà nella trama delle sue osservazioni notturne, nelle rime della vita quotidiana. Magari si addormenterà o magari chiamerà qualche amico oltreoceano per colmare di voci l’appartamento. Infine sprofonderà nel letto e farà sogni magici: si vedrà bambino giocare a pallone non nel cortile ma nell’aria, veloce come un aeroplano.

Sopra i tetti di Torino, tra le nuvole infiammate dall’alba, vola una lucina. Quella lucina sono io. Divento sempre più luminosa, mi espando e mi riunisco al sole.

 

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